Riforma cartabia – Ricorso Giudice di Pace

Riforma cartabia – Ricorso Giudice di Pace

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI

RICORSO EX ART. 316 C.P.C.

Per il signor _____________________ c.f. _____________________________, residente in ______________________, rappresentato e difeso giusta delega in calce al presente atto dall’Avv. ______________________, C.F. ______________________, del foro di ______________________, elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso ad ______________________, che dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni al seguente indirizzo di fax ______________________ e all’indirizzo di posta elettronica certificata ______________________,

ricorrente

contro

______________________ con sede legale in V______________________, pec: ______________________in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché la ______________________

resistenti

PREMESSO

  1. Che ESPOSIZIONE DEI FATTI POSTI A FONDAMENTO DELLA DOMANDA E MOTIVI DI DIRITTO

Tutto quanto premesso il ricorrente ______________________ ut sopra rappresentato e difeso,

CHIEDE

Che l’Ecc.mo giudice di pace di ______________________, previa fissazione di udienza di comparizione personale delle parti ai sensi dell’ art 318 comma 2 cpc e concessione di termine per la notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione di udienza, nei termini di cui all’art 281 – undecies comma 2 cpc, voglia accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l’Ill.mo Giudice di Pace adito, contrariis reiectis, così provvedere:

“accertare e dichiarare la responsabilità del ______________________, e per l’effetto condannare la ______________________ al risarcimento di tutti i danni subiti dal ricorrente pari ad € ______________________ ovvero negli importi diversi minori o maggiori ritenuti di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di legge sulle somme rivalutate. Il tutto nei limiti di competenza del Giudice di pace adito. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio”.

Ai fini del pagamento del contributo unificato, si dichiara che il valore della presente causa ammonta ad €  ______________________.

In via istruttoria

  1. chiede ammettersi prova testimoniale sui seguenti capitoli n ______________________
  2. CTU ______________________

Si offrono in comunicazione:

Luogo lì 03/03/2023

Avv. _______________

Giustizia: sospensione sino all’11 maggio

Il Consiglio dei Ministri nella serata di ieri ha prorogato nuovamente il termine di sospensione delle udienze e dei termini civili e penali al prossimo 11 maggio. Per far fronte all’emergenza epidemiologica, è stato infatti stabilito che il termine del 15 aprile 2020, previsto dall’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 venisse prorogato all’11 maggio 2020. Tale esigenza si è resa necessaria, come asserito dal Ministro per tutelare la salute di tutti gli utenti della giustizia ed essere pronti a ripartire. Solo successivamente a questa data si potrà passare ad una cauta riapertura.

Coronavirus: comunicazione CNF e delibere su obblighi formativi e tirocinio

Si pubblica la recentissima comunicazione pervenuta dal Consiglio Nazionale Forense in relazione a:

  • sospensione del contributo dai COA al CNF
  • deroghe all’obbligo di formazione professionale per l’anno 2020
  • provvedimenti in tema di tirocinio

Comunicazione

Decreto Cura Italia: Stop anche a Mediazione e Negoziazione assistita

L’art 83 comma 20 del Decreto Cura Italia pubblicato martedì 17 marzo 2019, ha affrontato anche la sospensione dei termini relativi ai procedimenti di mediazione e della negoziazione assistita, difatti il legislatore asserisce che: ” Per il periodo di cui al comma 1 sono altresì sospesi i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, nei procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del decreto-legge 12 settembre 2014, n 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n 162, nonchè in tutti i procedimenti di risoluzione delle stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti, quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 09 marzo 2020 e quando costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Sono conseguentemente sospesi i termini di durata massima dei medesimi procedimenti ..”

Assegno di divorzio e convivenza con un parente

La Cassazione Civile con la recente sentenza n.29317 del 12/11/2019 si pronuncia in tema di assegno divorzile, innovandone profondamente la materia.

Nel caso specifico, la Suprema Corte interviene a dirimere il dubbio circa l’obbligatorietà dell’assegno di divorzio nel caso in cui il coniuge conviva con un parente o con un amico.

Nonostante il tacito principio regolatore della materia che sublima la solidarietà postmatrimoniale con il coniuge, la Corte di Cassazione in tal modo si esprime: “(…) solo l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo (Cass. 6855 del 03/04/2015; Cass. n. 2466 del 08/02/2016), di guisa che la convivenza di altra natura – come quella con un parente o un amico – non rileva al fine di escludere in radice il riconoscimento dell’assegno”, fermo restando che i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile, ai fini della sua quantificazione, devono tener conto “(…) delle complessive ed effettive condizioni economiche delle parti, e, quindi, anche del fatto che la parte beneficiata si avvantaggi in qualche misura di una convivenza parentale o amicale” (sent. Cassazione civile sez. VI, 12/11/2019, n.29317).

Perciò, la Cassazione civile rigetta il motivo del ricorrente per il quale “(…) era pacifica la propria convivenza con un’altra donna, e dall’altro la convivenza del coniuge con la nipote J,” e “si verificava violazione dell’art. 3 Cost., in quanto solo della prima si sia tenuto conto per escludere a proprio favore l’assegno divorzile mentre entrambe avrebbero dovuto ostare al riconoscimento di detto assegno”, ritenendolo infondato.

La sentenza impugnata viene cassata e la causa viene rinviata alla Corte d’appello di Genova.

a cura della Dott.ssa Barbara Pirri

SINISTRO STRADALE E DANNO CAUSATO DA MACCHIA D’OLIO

Nel caso di specie, l’ente comunale “Roma Capitale” viene convocato dinanzi al Tribunale di I grado a seguito di incidente stradale causato da una macchia d’olio sul manto stradale. Il soggetto danneggiato, un motociclista, cita difatti il comune di Roma per ottenere un risarcimento dei danni alla persona e alla motocicletta (di sua proprietà), danneggiata anch’essa nel sinistro stradale.

Il tribunale adito rigetta però la domanda avanzata dall’attore, adducendo che gli estremi previsti dall’articolo 2043 C.c. per il risarcimento del danno per fatto illecito (“qualunque fatto, doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”) non siano integrati dalla fattispecie in quanto la “macchia non può considerarsi colpa dell’ente del proprietario della strada” (Cass. civ., sez. III, sentenza 15 marzo 2019, n. 7361).

In secondo grado, la Corte, pur allineandosi con la posizione assunta dal tribunale, delinea la fattispecie in maniera diversa, facendo riferimento all’articolo 2051 C.c. (“Danno cagionato da cose in custodia”) e non già alla disciplina dell’articolo 2043 C.c.

Nello specifico, l’articolo 2051 C.c. prevede che ciascuna persona è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, ad eccezione però che venga dimostrata la sussistenza di un caso fortuito, riconducendo dunque la questione ad una sorta di “responsabilità oggettiva” che prescinde dalla colpa del custode. Difatti, tacitamente la responsabilità è sempre del custode ma “fino al limite del fortuito” e l’onere della prova inerisce non la dimostrazione dell’assenza di colpa bensì la sussistenza di un elemento esterno al rapporto bilaterale custode-cosa ed in grado di incidere autonomamente sul nesso causale, il c.d. “caso fortuito”. Ne consegue che la prova liberatoria incombe non già al danneggiato ma al custode stesso.

Successivamente, la S.C.  accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza impugnata, confermando l’inversione dell’onere della prova nella dimostrazione dell’esistenza del caso fortuito “spettava invece al Comune, anche sulla base di presunzioni semplici, dimostrare che la macchia era tanto recente rispetto all’incidente da non potersi evitare che lo causasse”. Assumendo perciò, in via presuntiva, che la macchia d’olio sul manto stradale è recente e che ogni macchia d’olio nell’ambito dei sinistri stradali è riconducibile alla definizione di “caso fortuito”, la Cassazione rinvia la decisione alla Corte di Appello di Roma”.

a cura della Dott.ssa Barbara Pirri

Il REATO DI MOLESTIE NON VIENE INTEGRATO NEL CASO DI SMS MINACCIOSI TRA PARENTI

Il REATO DI MOLESTIE NON VIENE INTEGRATO NEL CASO DI SMS MINACCIOSI TRA PARENTI

Con sentenza 14 febbraio 2019, n. 7067 la Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento del Tribunale di Cagliari che condannava una donna alla pena prevista per il reato di cui all’art.660 c.p. rubricato “Molestia o disturbo alle persone”. La norma in questione punisce con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino cinquecentosedici euro “chiunque reca a taluno molestia o disturbo” in un luogo pubblico ( o aperto al pubblico  ) ovvero tramite l’uso del telefono per “ petulanza o altro biasimevole motivo”.

In prima battuta, risulta utile ricordare che la Cassazione penale calca la definizione dottrinale di “molestia” e di “disturbo”, attribuendo alla prima la connotazione di un’attività che “altera dolosamente o fastidiosamente il normale equilibrio psico-fisico di una persona con azione durevole o momentanea” ( Cass. Pen. I, 24 marzo 2005 ) e alla seconda la connotazione di un’attività che “  interferisce con le condizioni di lavoro o di riposo di una persona normale” ; in entrambi i casi non rileva  se la condotta posta in essere vada ad integrare anche un serio attentato al bene dell’integrità morale della persona offesa.

Altresì, la Cassazione, nell’emissione della sentenza in esame, ricorre alla definizione dottrinale di “petulanza” o “altro biasimevole motivo” che devono permeare la condotta di “molestia” o di “disturbo” affinchè il fatto sussista penalmente.

Proprio quest’ultimo aspetto ha inciso nel caso in questione e ha permesso alla donna colpevole ex art. 660 c.p. per il Tribunale di Cagliari di aver molestato altro soggetto attraverso “reiterati messaggi telefonici di contenuto ingiurioso e minaccioso”, di essere prosciolta in Cassazione.

Per la Suprema Corte, il reato previsto dall’art. 660 cod. pen. ( nonchè la molestia che ne contraddistingue il nucleo centrale d’offesa ) “ ha come elemento costitutivo il particolare motivo che connota la condotta dell’autore” e “l’azione che caratterizza la condotta deve essere compiuta per petulanza o per altro biasimevole motivo, aspetto che entra nella tipicità strutturale della fattispecie e ne integra un requisito costitutivo”(Cass. Pen., Sez. 1. sentenza 14 febbraio 2019, n. 7067) e tale condizione viene meno nell’ipotesi di reciprocità e/o di ritorsione delle molestie.

Nel caso di specie, gli estremi del reato ex art.660 cod.pen. non sono stati ritenuti integrati poiché la questione traeva origine da “ragioni di tipo familiare, non biasimevoli” e “la persona offesa aveva risposto in egual misura alle offese ricevute dimostrando così di non aver subito turbamento o disturbo “.

Da qui, dunque, l’accoglimento della tesi difensiva della donna e del ricorso.

a cura della Dott.ssa Barbara Pirri

La tenuità del fatto come causa di non punibilità nei reati stradali. La giurisprudenza penale

Nella sentenza del 19 febbraio 2019 n. 7526, la Cassazione penale si è pronunciata in tema di “non punibilità del reo per particolare tenuità dell’offesa” ex art. 131-bis c.p., istituto di recente introduzione ( D. Lgs. n. 28/2015) preordinato ad escludere la punibilità dell’imputato nel caso di reati caratterizzati da un grado di offensività particolarmente tenue, sebbene l’imputato stesso risulti colpevole.

Nel caso di specie al reo, condannato dal Tribunale di Brescia alla “pena ritenuta equa per il reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (art.186 C.d.S, comma 2, lett.c), veniva applicata la disciplina dell’art. 186 D.Lgs 30 aprile 1992, n.285  C.d.S. ( in rubrica “Guida sotto l’influenza dell’alcool”) in base al quale, nelle ipotesi più gravi ed emessa sentenza di condanna o di applicazione della pena a richiesta delle parti , deve essere sempre disposta “ (…)  la  confisca  del veicolo con il quale è stato commesso  il  reato,  salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato”. 

In grado di appello la sentenza viene riformata dalla Corte di Brescia la quale, adducendo che “l’imputato non fosse punibile per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art.131-bis c.p.”, dispone la restituzione del velocipede utilizzato per commettere il reato. A seguito di ciò, il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Brescia propone ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, osservando il principio di legalità in base a cui nessun soggetto può essere punito per un fatto non considerato reato dalla legge, rigetta il ricorso poiché infondato. Difatti, nella sentenza in esame di cui supra, la S.C. chiarifica che “in caso di sentenza di condanna o di applicazione della pena per il reato di cui all’art. 186.Cd.S., comma 2, lett.c), il giudice ha l’obbligo di disporre la confisca del veicolo condotto dal trasgressore (…) salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato” ma che “ si pone il tema della confiscabilità del veicolo nel caso in cui l’imputato venga ritenuto non punibile per la particolare tenuità del fatto”  conseguendone perciò in capo al giudice “ il dovere di disporre la sospensione della patente di guida, atteso che la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto presuppone l’accertamento del fatto”. In tale sede appare rilevante per la giurisprudenza penale porre una distinzione di presupposti per l’applicabilità delle due sanzioni amministrative accessorie ex art. 186 C.d.S. in caso di “Guida in stato di ebrezza” : mentre per la confisca del veicolo utilizzato dal trasgressore nel reato stradale è richiesta necessariamente  una pronuncia di condanna o l’applicazione della pena su volontà delle parti, per la sospensione della patente di guida  è  “(…) necessario, ma anche sufficiente, l’accertamento del fatto.”

A cura della Dott.ssa Barbara Pirri

Chat WhatsApp e valore legale di prova nel processo penale : la giurisprudenza

La giurisprudenza si è recentemente espressa in un ambito del tutto nuovo ed in continua evoluzione : la validità di prova documentale nel processo penale delle conversazioni in forma digitale tra gli utenti di applicazioni multi-piattaforma come WhatsApp istallate su smathphone e computer. La Suprema Corte afferma che   “ I dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono ( sms, messaggi WhatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare ) hanno natura di documenti ai sensi dell’art.234 cod. proc. pen.  ( Cass. Pen. Sez. V, sentenza 16 gennaio   2018 n. 1822 ).

Ai sensi dell’art. 234 c.p.p. il concetto di “prova documentale” viene esteso ad ogni scritto od altro documento in grado di rappresentare fatti, persone o cose mediante la “fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo” e quindi anche alle conversazioni intrattenute attraverso l’utilizzo di strumenti informatici come le Chat WhatsApp.

Inoltre, la Corte Suprema specifica che “ la relativa attività acquisitiva non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche” evidenziandone la natura di prova documentale e, pertanto, utilizzabile ai fini probatori.

A cura della Dott.ssa Barbara Pirri

Mediazione: esenzione Spese di notifica dell’istanza

Il Ministero della Giustizia con nota del 18.01.2019, in riposta a specifico quesito,  ha stabilito che ai fini dell’art.17, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010, il procedimento di mediazione si intende iniziato con la presentazione della domanda di mediazione e che quindi,  l’agevolazione prevista dalla norma include “tutti gli atti, i documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione” che “sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura”, ivi compresa anche l’attività di notificazione richiesta dall’Organismo di Mediazione all’Ufficiale Giudiziario per la notifica della comunicazione alle parti della fissazione del primo incontro di mediazione”

esenzione notifica istanza di mediazione